
L’Uomo, come i mammiferi e la maggior parte dei Primati, vive in gruppi sociali. In uno scenario evolutivo, l’innato bisogno per l’individuo di una vita in gruppo è fondamentalmente attribuibile ad una maggiore necessità di protezione nei confronti dell’ambiente e dai possibili predatori. Questo bisogno è universale, ovvero iscritto nel codice genetico delle suddette specie, ma, nonostante ciò, le motivazioni che istituiscono la vita sociale sono diverse tra specie differenti. Nei Primati, per gli individui facenti parte dello stesso gruppo sociale, la cooperazione è dettata dalla mera esigenza di ottenere le risorse necessarie alla propria sopravvivenza. Il risvolto della medaglia di questa disposizione innata è una maggiore competizione infragruppo per le risorse, ovvero essi competono con gli altri del loro gruppo sociale per gli stessi beni come il cibo, per esempio, si affannano ad arrivarci per primi o contestano direttamente gli altri, il che ha costituito l’obbligo “biologico” di creare gerarchie di dominanza come unico modo per evitare potenziali lotte dannose all’interno del proprio gruppo ma soprattutto per competere al meglio in situazioni di competizione con altri gruppi. Queste coalizioni richiedono una complessa capacità di cognizione sociale per salvaguardare la strutturazione delle suddette modalità relazionali. Godono dell’aiuto dei loro migliori partner, per esempio, impegnandosi nella cura reciproca, ma meno frequentemente nella condivisione del cibo. Ciò significa che si tratta di un darwinismo sociale (selezione naturale del più adatto) e non di processi di collaborazione ed aiuto reciproco, poiché gli individui che vengono trattati favorevolmente dai conspecifici sono esclusivamente i migliori nella competizione e nel dominio. Al contrario, la specie umana (Homo sapiens) è incredibilmente cooperativa. Tesse i fili della rete sociale in modo differente, il che può essere considerato come una straordinaria eccezione rispetto alla vita sociale degli antenati a lei più prossimi, ovvero i primati non umani. La particolarità delle socialità umana è relativa alla complessità ed alla varietà delle forme di cooperazione. Secondo Elliot Aronson (1980) è molto comune riferirsi all’essere umano come animale sociale ma questa denominazione può essere fuorviante in quanto molte specie animali sono sociali << Similmente al modo in cui le api e le formiche sono notevolmente cooperative tra gli insetti, gli esseri umani sono notevolmente cooperativi tra i mammiferi e gli altri primati >>.
L’eccezionale socialità di api e formiche è dettata dal modo in cui i membri facenti parte della stessa colonia sono associati geneticamente tra loro, ovvero ciò che li rende così cooperativi è esclusivamente da iscriversi ad un vincolo biologico. Gli esseri umani sono diversi, l’ultrasocialità che li contraddistingue si fonda su dei meccanismi cognitivi e motivazionali che, evolvendo costantemente, hanno permesso l’accomodamento ed il sedimentarsi di una modalità di esperire la vita in comunità così altamente cooperativa. Essi si aiutano reciprocamente durante la caccia ma soprattutto condividono il bottino con tutti i membri appartenenti al proprio gruppo sociale. Al contrario, il processo di foraggiamento dei Primati è molto più simile ad una competizione alimentare che ad una condivisione del bottino. Per esaminare al meglio tali divergenze Tomasello e colleghi (2012) hanno delineato uno scenario evolutivo costituito da due atti specifici che hanno permesso la forgiatura dello stile collaborativo unico degli esseri umani. La prima fase ipotizzata è caratterizzata dai cambiamenti ecologici che hanno diminuito la possibilità per il singolo individuo di poter ottenere da solo le risorse necessarie alla sua sopravvivenza. In tal modo, l’alternativa ad una vita di cooperazione diventava la morte. Nella seconda fase, dal lavoro congiunto di pochi individui si è passati alla collaborazione dell’intero gruppo sociale. Tutti i membri iniziano a collaborare tra loro, presumibilmente a causa delle varie competizioni con altri gruppi sociali, creando un vero e proprio gruppo culturale. Questo senso di appartenenza e di interdipendenza, stabilizzatosi nel tempo, è divenuto una vera e propria base evolutiva caratteristica degli esseri umani contemporanei. Per intendere al meglio le differenze della vita sociale tra Umani e Primati, Tomasello e colleghi (2006) hanno condotto degli esperimenti con delle coppie di scimpanzè e con delle coppie di bambini dell’età di tre anni. I ricercatori hanno posto sopra ad un piano, in differenti condizioni sperimentali, del cibo raggiungibile esclusivamente se i primati (entrambi gli scimpanzè) fossero stati in grado di tirare simultaneamente le due estremità di una corda.
Nella situazione in cui c’erano due porzioni di cibo (prima condizione sperimentale), una per ogni animale, gli scimpanzè portavano egregiamente a termine il loro compito di collaborazione. Ciò nonostante, quando era presente solo una porzione di cibo posta al centro della piattaforma (seconda condizione sperimentale) l’animale più forte, ossia il dominante, tentava di assumere la proprietà esclusiva di quel bene minando la futura collaborazione con il sottoposto. Sempre Tomasello e colleghi hanno sottoposto coppie di bambini dell’età di tre anni alle stesse condizioni sperimentali ed i risultati sono stati diametralmente opposti. I bambini collaboravano tra loro in entrambe le situazioni, ovvero quando il cibo poteva essere monopolizzato e/o erano presenti più porzioni di cibo. Sono state 8 effettuate diverse prove e ad ogni test il risultato era sempre il medesimo: i bambini collaboravano dividendo equamente il cibo a disposizione. Al contrario degli scimpanzè, i bambini trattano le risorse ottenute dalla collaborazione in modo equo e con una certa coscienza di giustizia fortemente legata alla semplice attività di collaborazione, la quale non è esclusivamente dovuta dall’aver appreso norme sociali dai propri genitori. In questo modo è possibile comprendere come la prosocialità degli esseri umani sia spinta da una forte motivazione intrinseca ad aiutare il prossimo, dal bisogno di sentirsi parte di un “organismo” più grande. Gli esseri umani sono diventati interdipendenti gli uni con gli altri in una maniera talmente forte da riuscire a modificare anche i processi cognitivi, arrivando al punto di concepire una moralità interpersonale e di gruppo. Questo bisogno fisiologico e psicologico di vivere una vita in comunità, iscritto nel corredo genetico di ogni essere umano, permette di comprendere al meglio quanto la solitudine e/o l’isolamento sociale possano avere un potente impatto sulla salute; ed inoltre ci fa comprendere come la cooperazione degli esseri umani abbia portato alla creazione di civiltà e condivisione del sapere che ha permesso l'evoluzione della specie, a differenza degli altri animali sociali.
BIBLIOGRAFIA:
Tomasello, M. (2014). The ultra‐social animal. European journal of social psychology, 44(3), 187-194.
Tomasello, M., Melis, A. P., Tennie, C., Wyman, E., Herrmann, E., Gilby, I. C., ... & Herrmann, E. (2012). Two key steps in the evolution of human cooperation: The interdependence hypothesis. Current anthropology, 53(6), 000-000
Tomasello, M. (2011). Human culture in evolutionary perspective.
Articolo a cura del dott. Francesco Cataldo
Laureato in Psicologia clinica e della salute
francescocataldopsy@gmail.com