La famiglia può essere definita come il sistema all’interno del quale si costruisce l’identità della persona; non è però un sistema isolato, al contrario è inserita in un contesto più ampio che ne influenza il funzionamento; ad esempio nella nostra società si pone particolare attenzione al legame tra la madre e il bambino.
I bambini hanno la tendenza, biologicamente determinata, di rimanere vicini alla figura di attaccamento (generalmente la madre). Nello specifico, se da un lato vi è il bambino che con comportamenti come ad esempio il pianto e il sorriso attrae a sé la madre, dall’altro la madre è biologicamente predisposta a rispondere alle richieste del figlio.

Fu lo psicologo e psicoanalista britannico John Bowlby ad evidenziare per primo l’importanza della relazione di attaccamento.
Bowlby attraverso i suoi studi evidenzia quattro stili di attaccamento, ovvero:
- Sicuro: la madre recepisce i bisogni del figlio e risponde coerentemente ad essi, ciò porta il bambino a sentirsi sicuro e fiducioso.
- Evitante: la madre non risponde ai bisogni espressi dal figlio ed egli stesso inizierà a negarli o comunque a non esprimerli.
- Ambivalente: la madre è incoerente nel rispondere ai bisogni del figlio e ciò può generare in lui ansia e insicurezza.
- Disorganizzato: la madre è spaventata e ciò genera confusione nel figlio che non riesce a dare un corretto significato a ciò che prova.
Il tipo di legame, che si forma nei primi anni di vita, ha notevole influenza sul successivo sviluppo del bambino a livello emotivo, relazionale e comportamentale.
In una relazione genitore-bambino “sana” quando il figlio cresce il legame evolve ed è fondamentale trovare un equilibrio tra sostegno ed autonomia.
I genitori infatti hanno il delicato e difficile compito di accompagnare il figlio e supportarlo nelle difficoltà che incontra ma senza sostituirsi, aiutandolo a formare una base solida fatta di valori e conoscenze che un genitore trasmette e che daranno al ragazzo la serenità necessaria per poter “camminare con le proprie gambe”.
Un figlio che cresce non è un figlio che si allontana, che perdi, ma un figlio che realizza se stesso, di cui puoi essere orgoglioso.
Mi piace concludere con una poesia di Kahlil Gibran
I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo.
Bibliografia
Kahlil Gibran, I figli vostri tratto dalla raccolta di poesie Il profeta (1923)
A cura della Dott.ssa Gelsomina Ferrari laureata in psicologia cognitiva
gelsominaferrari@gmail.com