La doll therapy o terapia della bambola, consiste nell’utilizzo di una bambola da far accudire e maneggiare dal paziente affetto da deterioramento cognitivo, proprio come se si trattasse di un neonato. La nascita di questa forma terapeutica si deve alla teoria dell’attaccamento formulata da Bowlby negli anni ’60. Questa teoria è stata studiata sui bambini ma numerosi studi l’hanno applicata anche alle persone con demenza. Gli anziani con demenza, infatti, sperimentano durante la malattia sensazioni di incertezza, stress e forte senso di insicurezza proprio come avviene nei bambini. La bambola, che diviene un essere vivente per il malato, può perciò soddisfare il bisogno di vicinanza, contatto e rassicurazione riducendo i sintomi psicologici e comportamentali come il ripetere più volte la stessa domanda, piangere o cercare il contatto fisico.

Tra i benefici che questa pratica ha rivelato ci sono:
- riduzione degli accessi di ira e del wandering (vagare senza una meta), in quanto atteggiamenti di dolcezza e affetto verso la bambola aiutano il malato a rilassarsi;
- miglioramento dell’insonnia;
- miglioramento della stimolazione sensoriale attraverso l’uso del tatto e le capacità comunicative di chi la utilizza;
- favorire la memoria e il recupero di ricordi piacevoli magari legate all’accudimento di un figlio o di un nipote;
- creare relazioni con gli altri ospiti della struttura o con i caregiver, riducendo l’apatia e lasciandosi coinvolgere nelle attività che provengono dal mondo esterno.
Naturalmente la terapia della bambola non ha per tutti gli stessi effetti, per questo occorre innanzitutto osservare il comportamento dell’anziano nei confronti dell’oggetto. Secondo Ivo Cilesi, uno dei massimi esperti di doll therapy, ci possono essere tre possibilità quando si presenta la bambola all’anziano:
1)la bambola viene riconosciuta come oggetto inanimato e quindi non considerato come elemento di attaccamento;
2) la bambola viene accudita e riconosciuta come un bambino;
3) si alternano momenti di attaccamento a indifferenza.
Secondo Andrew (2006) la bambola deve essere presentata in un modo che permetta all’anziano di stabilire se si tratta di un giocattolo o di un bambino. E’ interessante notare che, se la bambola viene percepita come un bambino, l’anziano non correggerà questa percezione.
La doll therapy ha gli stessi effetti sia sulle donne che sugli uomini, le bambole utilizzate non sono bambole qualsiasi ma hanno delle caratteristiche particolari, come il volto poco definito, una morbidezza particolare al tatto, arti allargati per poter essere facilmente presa in braccio. Ce ne sono di diversi tipi in base alle caratteristiche del paziente e della sua patologia.
Per concludere, ecco alcuni consigli sulla doll therapy;
Dopo un massimo di due ore è necessario creare una pausa perché lo stimolo da piacevole può diventare ansiogeno. La bambola viene tolta sempre in modo gentile e verosimile dicendo ad esempio che “deve andare a dormire” o “deve essere cambiata”. In caso di rifiuto ad esempio durante la prova al mattino, viene effettuata una nuova prova al pomeriggio o il giorno dopo. Se la bambola viene lasciata in un angolo e non è ricercata, l’operatore può portarla via. L’addormentamento è uno dei pochi casi in cui la bambola può essere lasciata fino al risveglio. E’ necessario interrompere la terapia se la persona mostra aggressività o tratta male la bambola.
Per approfondimenti:
Articolo scientifico, Ng QX, Ho CY, Koh SS, Tan WC, Chan HW “DollTherapy for dementia sufferers: A systematicreview” 2017
Dott.ssa Sofia Prosia,
laureata in Psicologia Cognitiva.
e-mail: sofia_prosia@libero.it