L'individuo odierno è tristemente preso da sé. Lo spiega bene Byung-Chul Han in “L’espulsione dell’Altro” (2017). Avendo l’illusione di essere libero e di essere padrone del proprio tempo, l’uomo si auto-sfrutta fino all’ultima frazione di secondo. Uno spietato investimento di tempo ed energie, compiuto per una causa più che valida: l’autorealizzazione di se stessi. Il padrone della fabbrica si è ormai estinto, ognuno è il padrone di se stesso. Lo sfruttamento ha cambiato significante, ma non significato, ora si chiama ottimizzazione del sé. “Devo potenziare le mie capacità”, “Devo acquisire nuove abilità maggiormente spendibili sul mondo del lavoro”, “Devo essere più persuasivo nella comunicazione”, “Credo che non andrò abere quella birra con Manuel, è meglio continuare a lavorare. In fondo lo faccio per il mio futuro”. “- Amore, ma questo weekend è il nostro anniversario! - Lo so, amore. Ma manca così poco per la promozione”, e così a non finire.
Ci teniamo sotto scacco. Il padrone sfrutta l’operaio, che poi sono la stessa persona. Non c’è sciopero per questo autosfruttamento, non c’è ribellione a questa autoalienazione. Con che coraggio s’insorge contro i nostri accaniti e avidi - ma sempre giusti - desideri di perfezionamento? In fondo lo si fa per se stessi, no? In questa incessante corsa volta a sgrezzarsi sempre di più, in questo continuo inseguire i nostri progetti, non ci siamo ancora accorti dei paraocchi indossati. Siamo motivati a raggiungere ciò che ci siamo prefissati, ma ci perdiamo tutto quello che accade attorno. L’autorealizzazione recide le relazioni con le altre persone e, nel peggiore dei casi oggettifica quest’ultime, facendole diventare delle pedine utili ai propri fini. L’Altro è un ostacolo per i miei obiettivi, dedicargli del tempo ha come conseguenza un ritardo nella mia tabella di marcia. In questo scenario l’Altro sta scomparendo gradualmente e la sua dissolvenza ha delle preoccupanti ripercussioni a livello identitario. L’identità ha bisogno del diverso per prendere forma, ha bisogno non dello scontro, ma dell’incontro e del confronto con ciò che non èper poter crescere, mutare e definirsi.Ogni identità, sia individuale che culturale è, in buona parte, frutto di scambi, non esiste identità che sia pura, incontaminata (Remotti, 1996). Un’identità restìa ad affacciarsi a nuove possibilità, un’identità chiusa come una monade, è condannata a morire. Oggi, la dialettica tra identità e alterità si è snaturata con l’erosione del secondo polo e, andando ad espellere l’-altro-da-me, rimane solo il medesimo che prolifera sempre uguale e senza forma (Han, 2017).
È un’assenza percepibile ma non identificabile con qualcosa o qualcuno, ci sentiamo incompleti, avvertiamo insatura la nostra esistenza e l’enorme piaga della nostra epoca è la mutazione antropologica indotta dal neoliberismo a livello identitario: la nostra identità, non è più definita dalla relazione ma dall’oggetto. Crediamo che il vuoto percepito sia dovuto alla mancanza di qualcosa facilmente reperibile sul mercato. Il mercato si fa edicolante e ogni giorno ci delizia con le uscite di ingannevoli frammenti di identità aventi, ovviamente, le fattezze di oggetti. In questo misero modo sopperiamo, senza saperlo, alla mancanza dell’Altro. La serie interminabile di acquisticome soluzione ad una scialba vita è destinata a fallire, la soddisfazione dura quanto la combustione di un fiammifero, il vuoto non riesce a colmarsi, anzi più si riempie di oggetti e più tende ad allargarsi. Questa fortezza materialistica che costruiamo di giorno in giorno, schiavi di un consumismo che non sazia ma che ci lascia sempre più affamati, ci isolerà sempre di più dalle altre persone e fungerà da cassa di risonanza per l’angoscia. La salvezza è più vicina di quanto crediamo, ma occorre togliere i paraocchi, occorre accorgersi dell’Altro che mi è accanto, non virtualmente, ma prossimo. Bisogna ripristinare le relazioni per sentirsi appagati e stimolati. Far rinascere il polo della dialettica in cui risiede l’alterità ci permetterà di dare una forma all’informe, rimarremo sempre affamati, l’insaziabilità è la peculiarità dell’identità,ma almeno trarremo soddisfazione ad ogni singolo morso. Bibliografia Han B.C., L’espulsione dell’Altro, Roma, Nottetempo, 2017. Remotti F., Contro l’identità, Bari, Laterza, 1996 Articolo a cura della Dott.a Valentina Urso, Psicologa Clinica e della Salute e-mail: vale.urso94@gmail.com
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