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LA DIAGNOSI DI DEMENZA- UN TURBINIO DI EMOZIONI

Aggiornamento: 30 dic 2024



Non dimentichiamo che le piccole emozioni sono i grandi capitani della nostra vita e che obbediamo a loro senza saperlo.

(Vincent Van Gogh)


La diagnosi di demenza è un’etichetta diagnostica utile al trattamento; tuttavia, molto spesso appare svilente poiché si perde l’aspetto relativo al volere e all’interiorità della persona. Si approfondiscono aspetti inerenti alle ripercussioni fisiche, cognitive e psichiche. Ma cosa provano i pazienti? L’emotività dei pazienti che ne sono affetti è molto interessante.

La letteratura esistente ci permette di collare la sede del grumo emotivo nell’ amigdala e nel cingolo anteriore, che compongono il Sistema Limbico. L’ amigdala riveste un ruolo importante poiché permette la percezione di emozioni funzionali alla sopravvivenza, come paura o rabbia, innescando delle azioni conseguenziali.

 Nelle prime fasi della malattia di Alzheimer è comune riscontrare il fenomeno della negazione, un meccanismo difensivo che permette l’adattamento ma che a lungo andare potrebbe essere un ostacolo, così come la paura che potrebbe impedire di vivere il presente. Uno studio i cui risultati sono contenuti sulla rivista Cognitive and Behavioral Neurology (Guzmán-Vélez E., Feinstein J., Tranel D., 2014), ha permesso di evidenziare come i pazienti possono non ricordare la recente visita di una persona cara o di essere stati trascurati dal personale in una casa di cura, ma tali azioni possono avere un impatto duraturo su come si sentono.

La diagnosi di demenza comporta una sofferenza sia per il paziente che per il caregiver, una verità difficile da tollerare. La sofferenza del caregiver si riflette sul paziente dando origine al fenomeno del contagio emotivo, definito come “una tendenza a imitare in modo automatico e sincronizzare espressioni facciali, vocalizzazioni, posture e movimenti con quelli di un’altra persona e di conseguenza convergere emotivamente”.  Gli stati d’animo comuni sperimentati da chi si occupa del paziente sono l’impotenza, il senso di colpa, la vergogna, la frustrazione e la paura per il futuro. Possiamo comprendere come queste emozioni vengano percepite dal paziente che ne risponderà di conseguenza. I caregiver dovrebbero trasmettere sentimenti positivi che hanno impatto nello stato d’animo del malato, nonostante esso non abbia memoria della causa che li ha generati.

Per poter garantire un supporto maggiore al proprio caro bisogna accettare la malattia attraverso l’informazione, attraverso strategie di coping sviluppate grazie al supporto eventuale di un professionista e ricordando sempre di prendersi cura di sé stessi. È proprio in questo contesto che è stata riscontrata l’utilità del supporto emotivo e sociale, che va a limitare il senso di solitudine, spesso avvertito dal paziente. Tutto ciò influenza positivamente l’umore e la motivazione, mostrandosi un valido aiuto pratico ai caregiver.


Articolo a cura della Dott.ssa Michela Blefari

Laureata in Psicologia Clinica

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