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QUANDO UN’IMMAGINE DIVENTA CURA:IL POTERE DELLA FOTOGRAFIA NELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE

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Che emozioni suscita in noi una fotografia? Magari relativa a un ricordo d’infanzia o a un bel momento della nostra vita?

Ogni immagine racchiude una storia, e spesso quella storia non appartiene soltanto al passato: continua a parlarci ancora oggi. Quando osserviamo una fotografia, non vediamo solo ciò che è stato immortalato, ma tutto ciò che quel momento rappresentava per noi. È come se i ricordi trovassero un modo per riaffacciarsi alla mente, anche quando sembrano sfumati o lontani. In effetti, se ci pensiamo, ci sono immagini che non invecchiano mai. Restano lì, ferme su un comodino o tra le pagine sbiadite di un vecchio album fotografico come fari che illuminano ciò che la memoria a volte fatica a trattenere.

In questo senso la fotografia diventa un alleato prezioso, soprattutto quando ci confrontiamo con malattie che lentamente modificano la memoria e le capacità cognitive. Per chi vive con disturbi neurodegenerativi, un’immagine può diventare un punto di riferimento, un appiglio emotivo, una scintilla capace di riattivare emozioni e sensazioni positive. Ma la fotografia non sostiene solo la memoria del paziente: sostiene anche chi se ne prende cura.

Per familiari e caregiver, infatti, le immagini diventano un modo per comunicare in modo più semplice, più umano, più empatico. Un linguaggio silenzioso che permette di condividere momenti, riconoscersi, ritrovarsi e raccontarsi, anche quando le parole iniziano a diventare più rare.

 

In questo articolo, e in quelli che seguiranno esploreremo, dunque, i molti ruoli della fotografia: mezzo di comunicazione, stimolo per la memoria, supporto riabilitativo, spazio identitario e ponte relazionale. Un viaggio tra immagini, emozioni e possibilità concrete di cura, sia per il paziente e sia per chi vive ogni giorno al suo fianco. 

 

La fotografia è uno dei mezzi di comunicazione più potenti e geniali che l’uomo abbia mai inventato. Con un singolo scatto può raccontare storie intere, catturare emozioni fugaci e conservare attimi che altrimenti svanirebbero nel tempo. Non serve parlare: un sorriso, un gesto, un luogo familiare possono trasmettere sentimenti e ricordi che le parole spesso non riescono a rivelare. Per chi fatica ad esprimersi con le parole, una fotografia diventa molto più di un’immagine: è una voce silenziosa un filo invisibile che collega il presente al passato. Guardare insieme una foto significa aprire finestre sui ricordi, stimolare emozioni dimenticate e creare un dialogo fatto di sguardi, gesti e piccoli sorrisi condivisi. Ogni immagine può diventare un ponte che unisce persone e sentimenti, un modo delicato per comunicare ciò che non si riesce a dire, per sentirsi compresi e vicini.

 

Una tecnica di stimolazione cognitiva molto utile è La Photo Elicitation, basata sull’uso delle fotografie per suscitare narrazioni e riflessioni personali. Diversamente dalla semplice osservazione, questa pratica incoraggia chi guarda le immagini a raccontare storie, ad associare ricordi, emozioni e dettagli in base a ciò che vede. Per le persone con Alzheimer o Parkinson, questo metodo diventa un potente strumento di comunicazione: anche quando le parole mancano, la foto agisce come catalizzatore, riattivando ricordi, annullando i silenzi e facilitando l’espressione di sentimenti. In questo modo, le immagini non sono solo oggetti di memoria, ma veri e propri mediatori di relazione e comprensione reciproca.

La fotografia diventa così un terreno comune dove incontrarsi senza sforzo, soprattutto quando le parole diventano difficili da trovare o da comprendere.

 

Ma il viaggio non termina qui: nel prossimo approfondimento la fotografia si trasformerà in memoria viva, in forza capace di risvegliare, sostenere e riflettere l’identità più autentica attraverso la reminiscence therapy e il suo potere riabilitativo e motivazionale.



Articolo a cura della Articolo a cura della Dott.ssa Grimani Francesca Antonietta

Laureata in Scienze e Tecniche Psicologiche

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