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Dott. Carmine Salito

La Maschera che indossiamo - Tra apparenza e realtà

“C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno.” L. Pirandello

In questo piccolo inciso, Pirandello evidenzia come l’uomo possa ricoprire una moltitudine di ruoli rimanendo al tempo stesso nessuno, è molto forte l’immagine che ci arriva da questo estratto in quanto ci fa capire come l’uomo “cambia” a seconda della situazione e delle persone che ha di fronte ma quando resta solo diventa nessuno.

Spesso la società in cui viviamo ci obbliga ad essere ciò che gli altri vogliono e con questo, anche ad indossare una maschera, non ne basta una sola ma serve una maschera per ogni tipo di incontro che facciamo, dobbiamo sempre mostrarci non per quello che siamo, ma per ciò che gli altri vogliono vedere, non diciamo tutto quello che vogliamo ma diciamo solo quello che gli altri vogliono sentire. Tutto questo viene messo in atto perché pensiamo di essere inadeguati o fuori luogo nel momento in cui vogliamo esprimere noi stessi, e quindi ci conformiamo agli altri pensando sia la scelta giusta ma soprattutto meno rischiosa. In questo modo la maschera rappresenta uno scudo per l’uomo, una barriera protettiva, dove la sua funzione è quella di renderci accettabili agli occhi degli altri, di proteggerci, rendendoci meno vulnerabili e più sicuri. Il problema principale delle maschere è che una volta indossate, difficilmente si riescono a togliere, diventano una seconda pelle e l’uomo è costretto inesorabilmente a “recitare una parte”, così facendo viene a costruirsi un Falso Sé, su cui si basa la sua esistenza fino a rimanerne quasi intrappolato. Winnicott afferma che il Falso Sé è il prodotto dell’adattamento dell’individuo all’ambiente: adattamento che richiede di mettere da parte le componenti autentiche della persona per rispondere adeguatamente alle richieste del contesto.

Il Falso Sé rappresenta quindi una componente più superficiale della struttura della personalità che presenta principalmente due funzioni: consentire una buona integrazione all’ambiente e difendere il Vero Sé, che rappresenta invece un bacino più profondo, ricco di aspirazioni intime ma anche di fragilità personali. Inoltre afferma che persone con un falso sé molto forte sono orientate verso l’intellettualizzazione della realtà. Queste persone tendono a trasformare la realtà in un oggetto della ragione, e non dell’emozione, degli affetti e degli atti creativi (D. Winnicott). Tutto questo crea un senso d’impotenza dettato dall’impossibilità di esprimere se stessi, ciò che pensiamo, ciò che siamo e di questo ne diventiamo consapevoli quando restiamo soli, dove la parte più profonda di noi emerge collimando con il Falso Sé costruito, in quel preciso momento ci rendiamo conto che stiamo vivendo la vita di un altro e che tutto quello che facciamo non è quello che vorremmo fare. L’uomo non si riconosce più, vivendo un forte senso di malessere dettato dal contrasto netto di ciò che è e ciò che gli altri vorrebbero che fosse. Importante è allontanarsi dal falso sé, per dare spazio al sé reale, e tutto questo avviene ascoltando e lasciando agire i propri vissuti interiori, i vissuti emotivi e i propri bisogni, piuttosto che negarli. La nostra esistenza è condizionata da quello che siamo, dalle relazioni che stipuliamo, da ciò che desideriamo ed è di fondamentale importanza ai fini del benessere personale, restare noi stessi pur non essendo perfetti ed accettati in toto dalla società. Essere se stessi non è sempre facile ma allo stesso tempo ci fa vivere a pieno la nostra esistenza senza nessun rimpianto. È meglio vivere un giorno rimanendo se stessi che cento giorni vivendo la vita di un altro.

Articolo a cura di

Dott.re Salito Carmine

Psicologo Clinico e della Salute E-mail: carminesalito95@gmail.com


Per Approfondire: Luigi Pirandello (1926). Uno, nessuno e centomila. Winnicott D. W. (1960). Sviluppo affettivo e ambiente

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