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Alzheimer d'estate: quando la malattia non va in vacanza

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L’estate, per molti, è sinonimo di pausa, leggerezza e riposo. Ma per chi convive con una malattia neurodegenerativa – come Alzheimer, Parkinson o altre forme di demenza – il calendario non conosce stagioni. I bisogni assistenziali non si fermano, e spesso i familiari caregiver si ritrovano ad affrontare mesi ancora più complessi.

Durante il periodo estivo, infatti, diventa più difficile reperire operatori qualificati: infermieri, OSS o assistenti domiciliari riducono la disponibilità a causa delle ferie, e le famiglie faticano a garantire una continuità di cura.


Questo comporta un carico ancora maggiore sui caregiver, che si trovano spesso soli a gestire situazioni delicate senza adeguato supporto. Orari da organizzare, impegni da rimandare e l'obbligo, sia morale che pratico, di prendersi carico della situazione.

I caregiver, in tal senso, devono imparare in fretta a svolgere dei compiti per i quali magari non sono portati e non sono in grado di espletare al meglio, causando così anche fastidio al paziente/familiare che percepisce di poter causare disturbo e di poter essere alle volte un peso non indifferente, andando così a inficiare anche sul suo morale e la sua autostima. Sorvolando sul rischio di eseguire fisicamente delle manovre sbagliate che possono causare danni o dolore al familiare, la figura professionale di un operatore sanitario qualificato difficilmente può essere sostituita, se non dal lato puramente empatico, con un determinato caregiver in grado di svolgere quel compito con la naturalezza e l'amorevolezza necessarie.

A complicare ulteriormente le cose è la cronica mancanza di strutture pubbliche dedicate al sollievo estivo e all’accoglienza temporanea. Servizi che potrebbero permettere ai caregiver di rifiatare e, al contempo, garantire sicurezza e dignità ai pazienti. L’assenza di queste risorse finisce per trasformare le ferie in un periodo di forte stress, in cui la fatica fisica ed emotiva rischia di amplificarsi.


Un ulteriore elemento spesso sottovalutato è l’impatto del caldo sui pazienti fragili. Le ondate di calore possono aggravare i sintomi, alterare il sonno, favorire la disidratazione e aumentare gli stati confusionali. Questo significa che, proprio nei mesi in cui i caregiver sono più soli, la vulnerabilità dei loro cari cresce.

Anche piccoli gesti quotidiani, come mantenere una casa ben arieggiata, offrire liquidi regolarmente o monitorare la pressione, sono parti essenziali di una micro-assistenza che richiede attenzione costante.


Per questo, una possibile strada è potenziare i servizi di “respiro familiare”. Anche solo qualche ora alla settimana in cui un professionista può sostituire il caregiver fa una differenza enorme. Allo stesso modo, gruppi di auto-aiuto e iniziative di volontariato locale possono creare piccole reti di sostegno, capaci di offrire non solo aiuto pratico, ma anche sollievo emotivo.


È fondamentale ricordare che dietro ogni persona con una malattia neurodegenerativa c’è una famiglia che si impegna quotidianamente, spesso in silenzio, per mantenere viva la qualità della vita. Lasciarli soli significa non solo aumentare la sofferenza individuale, ma anche minare la salute dell’intero nucleo familiare.

Come comunità – professionisti, istituzioni e cittadini – abbiamo la responsabilità di non dimenticare queste realtà. L’estate può e deve essere un tempo di riposo per tutti: costruire reti di supporto, investire in servizi pubblici e rafforzare la collaborazione con le realtà private è un passo necessario per alleggerire un carico che oggi grava quasi interamente sulle famiglie.


Un invito, dunque, a non abbassare lo sguardo: anche nei mesi più caldi, la cura e la solidarietà non vanno mai in vacanza.

A cura del Dott. Gabriele Scuccimarra.

Laureato in Psicologia Clinica e della Salute.

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