REMINISCENCE THERAPY: REMINISCENCE THERAPY
- Dott.ssa Francesca Grimani
- 2 giorni fa
- Tempo di lettura: 3 min

Dopo aver compreso il valore comunicativo dell’immagine, entriamo ora nella sua dimensione più intima: quella di strumento terapeutico e riflesso dell’identità.
La Reminiscence Therapy (o terapia della reminiscenza) è una pratica terapeutica che utilizza ricordi e racconti del passato per stimolare la memoria, rafforzare l’identità personale e migliorare il benessere emotivo di chi vive con disturbi cognitivi. Le fotografie diventano uno strumento centrale in questo approccio: mostrando immagini di momenti felici, luoghi significativi o persone care, è possibile aiutare la persona a richiamare ricordi e sensazioni spesso dimenticate. Questo non solo favorisce il dialogo con i caregiver e i familiari, ma può anche ridurre ansia e frustrazione, creando momenti di serenità e connessione emotiva.
La fotografia, talvolta può trasformarsi anche in un piccolo miracolo quotidiano. Non solo conserva ricordi, ma diventa compagna, stimolo, invito a muoversi e a partecipare. Per chi convive con Parkinson, Alzheimer o altre forme di demenza, anche i gesti più semplici possono diventare sfide e spesso gli esercizi fisici o cognitivi possono sembrare faticosi o poco coinvolgenti. Qui entrano in gioco le immagini: scattare foto durante una passeggiata, osservare attentamente un album fotografico o scegliere le immagini più significative della giornata, può trasformare un compito in un momento piacevole e gratificante. Ogni gesto diventa un piccolo obiettivo da raggiungere, capace di dare soddisfazione immediata e incoraggiare la partecipazione. Anche semplici attività creative come organizzare le foto in ordine cronologico o creare collage, aiutano mente e corpo a restare attivi.
Il paziente non percepisce così l’attività come “terapia” ma come progetto personale e come un modo per sentirsi protagonista.
In più, condividere i risultati con familiari o operatori rafforza l’autostima e vedere quei risultati esposti in una stanza li motiva a continuare.
La fotografia può svolgere una funzione che va oltre la semplice rievocazione dei ricordi. Ci sono giorni in cui un volto sorridente di gioventù richiama emozioni dolci e memoria viva, e la persona si illumina nel riconoscersi.
Altre volte, però, quell’immagine sembra parlare di qualcun altro:
il riflesso nello scatto non coincide con ciò che sente di essere. In quei momenti, il semplice gesto di sfogliare un album o di guardare una foto incorniciata può diventare confusione, spaesamento e persino dolore.
Eppure, proprio da queste piccole fratture nasce qualcosa di prezioso. Quando la memoria vacilla, la fotografia può trasformarsi in uno spazio nuovo, più aperto, in cui la persona non è costretta a ricordare ma può semplicemente sentire. Anche se non riconosce il volto o il momento, davanti a un’immagine può comunque emozionarsi, incuriosirsi, sorridere.
Ogni scatto diventa così un’occasione: non per misurare ciò che è stato perduto, ma per scoprire ciò che resta vivo. A volte un colore richiama una sensazione piacevole, un paesaggio evoca tranquillità, un gesto affettuoso accende un senso di tenerezza. Non serve sapere esattamente chi sia quel volto: ciò che importa è ciò che quel volto trasmette nel presente.
In questo modo, la fotografia sostiene l’identità in una forma più morbida e accogliente. Non pretende continuità perfetta, non chiede precisione: offre invece un terreno dove la persona può ritrovare parti di sé attraverso emozioni immediate e autentiche. Una risata spontanea, un commento inatteso, un’espressione di stupore diventano piccoli segnali che l’identità non è scomparsa: si sta semplicemente esprimendo in un altro linguaggio.
Così, anche quando la persona non si riconosce in una fotografia, l’immagine può continuare a fare bene: può offrire serenità, stimolare la curiosità, avvicinare le persone tra loro. E in questo incontro dolce e inatteso, l’identità non si perde: si rinnova, si adatta, trova nuove vie per farsi sentire.
Nel prossimo e ultimo articolo concluderemo il nostro viaggio esplorando come la fotografia possa creare legami tra caregiver e assistito, e come i diari fotografici trasformino la quotidianità in legame e cura condivisa.
A cura della Dott.ssa
Francesca Antonietta Grimani







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