L’arte che cura: L’arte visiva come strumento terapeutico nelle patologie neurocognitive
- Dott.ssa Alessia Perrone
- 22 set
- Tempo di lettura: 2 min

Quando parliamo di arte visiva in un contesto terapeutico, ci riferiamo a interventi che coinvolgono sia la produzione di arte – come disegno, pittura, scultura o collage – sia l’apprezzamento delle opere, attraverso visite a musei o attività di “art appreciation”. L’arte visiva può essere utilizzata anche come semplice stimolo cognitivo ed emotivo, senza che l’obiettivo sia creare qualcosa di “bello” dal punto di vista estetico.
L’obiettivo principale è stimolare le funzioni cognitive – attenzione, memoria, percezione visiva e abilità visuospaziali – ma anche migliorare l’umore, favorire la socializzazione, aumentare il senso di autoefficacia, ridurre ansia e depressione e, potenzialmente, rallentare il declino cognitivo.
Diversi studi confermano che l’arteterapia visiva produce effetti positivi nei pazienti anziani con disturbi neurocognitivi. Non solo migliora la qualità della vita e le funzioni cognitive, ma favorisce anche il benessere emotivo e psicologico. Un recente studio pubblicato su Archives of Psychiatric Nursing (agosto 2023) ha analizzato l’efficacia di interventi artistici non farmacologici, interattivi ed espressivi in persone con disturbi neurocognitivi di diversa gravità, rilevando benefici sia sui sintomi depressivi ed emotivi che sulla qualità della vita.
Ma perché l’arte funziona? I meccanismi ipotizzati sono diversi. Disegnare e dipingere stimolano le capacità visuospaziali e percettive, allenando reti neurali che spesso risultano compromesse in patologie come Alzheimer e Parkinson. L’attività artistica richiede inoltre di scegliere i colori, pianificare il disegno, ricordare dettagli e coordinare i movimenti, attivando così memoria, attenzione e funzioni esecutive. Non va trascurato l’aspetto emotivo: creare qualcosa riduce l’ansia, migliora l’umore, aumenta l’autostima e permette di esprimere se stessi. Quando l’attività avviene in gruppo, si crea anche un’occasione di socializzazione e di appartenenza, contrastando l’isolamento. Alcuni studi hanno addirittura osservato modifiche misurabili nella connettività cerebrale, suggerendo un possibile effetto neuroplastico.
Le modalità di intervento sono varie: si va dalla produzione artistica di gruppo, sotto la guida di un arteterapeuta, all’apprezzamento dell’arte attraverso mostre e riproduzioni, fino a programmi integrati che combinano arte, musica, teatro o movimento. Gli interventi più efficaci sembrano essere quelli regolari e continuativi, capaci di accumulare benefici nel tempo.
In ambito clinico, l’arte visiva ha dimostrato di migliorare memoria, comunicazione e funzioni cognitive nei pazienti con Alzheimer e altre demenze, aiutandoli a mantenere capacità residue e a ridurre agitazione e disturbi comportamentali. Nei pazienti con Parkinson, oltre agli effetti emotivi e cognitivi, favorisce il miglioramento della motricità fine e delle strategie visuospaziali, come l’esplorazione visiva e il riconoscimento delle forme.
Fondamentale è che ogni intervento sia adattato alle abilità residue del paziente, con materiali accessibili, supporto fisico e tempi flessibili. L’arte visiva, dunque, non sostituisce le terapie mediche, ma le integra, offrendo un approccio non farmacologico e ricco di potenzialità per il benessere globale della persona.
Articolo a cura della Dott.ssa Alessia Perrone Laureata in Servizio Sociale e Politiche e Management per il Welfare.







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